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Storie

San Pio X e Carlo d’Asburgo,
di fronte alla prima guerra mondiale

don Florian Abrahamowicz F.S.S. Pio X,
conferenza tenuta a Mezzano a Primiero (Tn) nel 2004,
c/o la Sede del Gruppo Alpini di Mezzano

“...se l’Europa continua a macellarsi,
il giallo e l’Americano sì rallegrano...”

I primi nemici di una pace onorevole si trovavano all’interno delle stesse potenze centrali. La diplomazia tedesca cercava a tutti costi di boicottare i primi tentativi di Carlo in questo senso. Fingeva buona volontà, offrendo generosamente al nemico la terra che non gli apparteneva, cioè il Trentino e Trieste. Ma dell’Alsazia-Lorena nessuna menzione. Atteggiamento scelto per dividere gli alleati. L’Austria non era disposta a cedere semplicemente il Trentino, Trieste e la costa dalmata. Però sin dall’inizio delle trattative dimostrava disponibilità per quanto riguardava i territori che saranno più tardi la Jugoslavia. Proporrà il territorio tedesco, l’Alsazia Lorena, ai Francesi, soltanto dopo essersi convinta che l’alleanza con la Germania era diventata priva di fondamento per l’ostinazione suicida dell’alleato nel voler continuare a tutti costi la guerra.

Gli ostacoli interni alle potenze centrali poi non si limitavano soltanto all’antagonismo austro-tedesco. Carlo aveva le più grandi difficoltà con il suo ministro agli esteri, il conte Czernin che, più per motivi personali che politici, causò la rottura con il governo francese. 

“Nessuno ha posto come condizione di pace un mutamento di governo o di dinastia nei paesi nemici, o neanche lo smembramento o l’umiliazione degli stati”
(Sonnino)

La divisione fra chi era favorevole a trattare una pace cedendo terreno o pretese su di esso, e chi voleva la guerra ad oltranza traversava anche il campo dell’avversario.
In Italia per esempio, il re e Cadorna proporranno verso metà aprile del 1917 trattative nelle quali rivendicavano soltanto il Trentino e la costa adriatica fino ad Aquileia, senza Trieste. Negoziati che il ministro Sonnino non avrebbe mai accettato perché sarebbero state una diminuzione delle promesse territoriali fatte all’Italia nei patti di Londra... L’Imperatore Carlo essendo in attesa di una risposta franco-britannica rifiutò di trattare.
Più tardi, nel gennaio del 1918, il presidente del consiglio Vittorio Emmanuele Orlando e il ministro del Tesoro Francesco Nitti propongono, tramite il Vaticano, di trattare una pace. Ma dopo Caporetto, l’Austria non era più disposta di trattare con l’Italia su base di cessione territoriale.
In Francia, vediamo il presidente Poincaré e il presidente del consiglio Aristide Briand, ben disposti ad ascoltare le proposte che Carlo espone tramite i suoi cognati Sisto e Saverio di Borbone Parma. Purtroppo il successore di Briand, Ribot, impedirà non soltanto le proposte generose austriache, ma anche quelle tedesche e perfino italiane. A quest’effetto proporrà agli alleati dei testi talmente deformati, che Briand lo sconfessa e ottiene le sue dimissioni. In tanto però le occasioni di giungere ad una pace che avrebbe salvato centinaia di migliaia di vite umane sono state vanificate di proposito.
L’Inghilterra rispondeva alle proposte di Carlo in modo evasivo, si dimostrava tenuta a conferire sempre con l’Italia.
L'onore delle armi non era dunque in grado di trasportare gli animi diplomatici verso un accordo ragionevole e capace di accontentare tutte le parti belligeranti. E anche se ci fossero arrivati, c’era chi l’avrebbe impedito: coloro che tramavano al di sopra dei governi la sentenza pronunciata profeticamente da Mazzini: “Austria delenda est”. Sentenza ribadita ufficialmente a Parigi il 28, 29 e 30 giugno 1917 all’occasione del congresso internazionale massonico dei paesi alleati e neutri. Sempre la stessa sentenza sarà confermata a Roma, il 14 aprile 1918 dalla conferenza dei gruppi emigrati.

Le “necessità vitali dei miei popoli”
seconda condizione per la pace

La seconda condizione di pace posta da Carlo nel manifesto del 21 novembre 1916 era la salvaguardia delle “necessità vitali dei miei popoli”. Il concetto del giovane Imperatore di coesistenza pacifica tra le varie nazioni dell’Impero lo formulò in questi termini:

All’estero non si capisce, non s’intende minimamente con quali fini la Provvidenza ci ha riuniti in quest’angolo sud-orientale dell’Europa: l’Austria non è né uno Stato tedesco né uno Stato slavo. I tedeschi sono sì i fondatori della Monarchia danubiana, ma vi formano oggi una minoranza, circondata e incrinata di popoli che aspirano apertamente all’autonomia; in questa situazione debbono accontentarsi della funzione di guidare queste civiltà più giovani, di porgere l’esempio di una cultura raffinatissima e d’aiutare con amore, rispetto e magnanimità i nuovi popoli che salgono. Errori sono stati commessi da tutte le parti e bisogna rimediarvi, perciò conviene dare un colpo di spugna sul passato. Non ho timore alcuno dell’autodeterminazione dei popoli, purché questa non si metta astrattamente al di sopra della realtà austriaca. Se accordiamo generosamente ai singoli gruppi la più grande libertà immaginabile per lo sviluppo delle loro peculiarità, per l’esercizio della funzione formatrice della loro cultura, per il godimento della loro lingua, per tutto insomma lo sforzo tendente a valorizzare le caratteristiche nazionali, nelle nuove forme essi si sentiranno molto più intimamente di prima connessi col tutto e spontaneamente rinunceranno ad eccessi condannati all’insuccesso. In Austria meno che in qualunque altro paese si può imporre dal di fuori alle popolazioni la forma statale unitaria: questa deve essere una conseguenza dell’unione morale dei suoi popoli.”

L’autonomia è dunque una condizione vitale dei vari popoli della Monarchia. L’Impero rappresenta quella cornice esterna che garantisce e protegge proprio quelle singolarità giustamente rivendicate dai popoli.
Quali sono allora le forze centrifughe nella Monarchia? Vi sono i problemi delle minoranze che rivendicano più autonomia. Ma né i ruteni in Galizia, né i tedeschi in Polonia, Boemia, Romania e in Italia, né gli ungheresi in Transilvania, Slovacchia e Croazia avrebbero di per sé voluto e potuto fare esplodere la Monarchia. Si può parlare di forze centrifughe ma non a tal punto da provocare un’autodistruzione della Monarchia. La Monarchia, ed è la tesi di Fejtö, non è esplosa, ma è stata fatta esplodere. Osservando su una carta geografica la distribuzione di queste minoranze nell’Impero, si vede che senza procedere ai metodi di migrazioni forzate è impossibile creare degli stati sovrani nazionali. I singoli stati nazionali nuovamente creati, sono molto meno in grado di proteggere le loro minoranze sparse negli altri stati che non lo è l’istituzione sopranazionale dell’Impero. Infatti la storia dopo la prima e la seconda guerra mondiale ci insegna come non più le minoranze, ma i popoli nazionali stessi dopo Yalta avevano più da soffrire che le minoranze prima sotto il “giogo” asburgico. La storia dava ragione alle previsioni di Carlo, redatte nel ultimo documento della sua vita, il documento di Lethbridge. Si tratta di un’intervista data nel 1922, probabilmente ad un giornalista americano.

Soluzione al problema delle nazionalità:
autonomia nella cornice dell’Impero

La soluzione consisterebbe in un ravvicinamento alla Francia, più vicina all’Austria che non la Germania e l’Inghilterra. L’introduzione del suffragio universale in Ungheria. Uguaglianza dei diritti per tutte le nazioni. Passaggio dal Dualismo austro-ungarico al Trialismo tra Austria, Ungheria e un regno slavo capeggiato dai croati che sono più occidentalizzati dei serbi e che sono avvantaggiati dal cattolicesimo e dalla cultura. Uno stato slavo sotto dominazione serba non potrebbe durare. Croati, sloveni, macedoni, albanesi e montenegrini aspetterebbero la prima occasione per abbandonare Belgrado. Bisognerebbe cedere la Transilvania alla Romania e non provocare la Russia. Soprattutto non smembrare la Monarchia per evitarne le conseguenze funeste che sarebbero la sicura vittoria della Grande Germania. In questa intervista del 1922 Carlo descrive quasi profeticamente lo sviluppo futuro dei singoli popoli della monarchia, smembrata nei dettami di Versailles e Trianon... Gli ungheresi divisi dopo uno smembramento fra Serbia, Romania e Cecoslovacchia si considererebbero circondati da nemici e diventerebbero un vassallo della Prussia. Allora i Cechi e Croati automaticamente cercheranno anche loro l’amicizia della Germania. I fatti storici di questi popoli dal 1919 al 1945 sono la triste prova di quanto aveva ragione Carlo. Dopo essersi combattuti a vicenda i popoli hanno fatto causa comune con la Germania di Hitler e l’Italia di Mussolini, prima contro la Serbia e poi con la Serbia contro l’incubo comunista.  Nel 1945, dopo che i croati e gli sloveni, insieme a varie decine di migliaia di serbi, montenegrini, kossovari, etc., si arrendono agli inglesi, questi li consegnano ai partigiani titini. Inizia la “Marcia della morte” di un milione di prigionieri di varie nazionalità jugoslave attraverso la Slovenia, la Croazia e la Serbia.
Lo smembramento perpetrato dai dettami di Versailles e di Trianon era a danno dunque non soltanto delle minoranze ma delle stesse nazionalità dell’Impero.
Non va dimenticato che durante il governo di Francesco Giuseppe molto fu fatto per migliorare l’amministrazione nella Monarchia. Alla morte del sovrano, nei discorsi funebri in Boemia s’insisteva su questi progressi che facevano intravedere una progressiva decentralizzazione amministrativa. Le riforme sociali del giovane Imperatore Carlo mettevano rapidissimamente in atto le sue intenzioni di ricercare il bene e lo sviluppo dei popoli, e non il dominio e l’egemonia economica, che invece ricercavano i macchinatori dello smembramento dell’Impero.
Le forze di coesione prevalevano all’interno dell’Impero. La persona dell’ultimo Imperatore, il suo esercito che combatteva fino all’ultimo, rappresentavano una forza di coesione che si può misurare dalla malizia, l’accanimento e il danaro che doveva impiegare la stampa internazionale per diffamare questa santa istituzione e per esasperare gli animi di chi subiva il dettame dei mezzi di comunicazione.

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